Per ora l’esperimento sembra essersi svolto lontano dai palcoscenici principali, nascosto in Nuova Zelanda. I Kiwi parlano inglese, e sono relativamente isolati, dopo tutto: cavie perfette.
L’idea di pagare per un servizio che abbiamo sempre dato per scontato fa sollevare il sopracciglio. Da un certo punto di vista, però, la nostra capacità personale di “penetrare il social network” è davvero scarsa. Se prendiamo in analisi tutte le nostre attività segnalate, scopriamo che solo il 12% dei nostri amici di Facebook vede il nostro update “medio”.
Chiaramente qui va distinta la semplice notifica di una app da un aggiornamento che abbiamo scritto a mano. Non basta: si deve prendere in considerazione il numero di amici che abbiamo aggiunto, ma anche le loro preferenze in fatto di privacy, più una serie di fattori più o meno segreti dell’algoritmo con cui Facebook calcola la rilevanza di ogni update.
Nonostante questi numeri deprimenti (quanto privi di un vero significato), mi spaventa pensare a chi sarebbe davvero interessato a pagare per recapitare a tutti un proprio update. Qui non parliamo di Pagine o aziende, ma proprio dell’utente-persona con nome e cognome che tanto è importante per Facebook. La mente vola subito alla schiera di amici musicisti, PR, fanatici del fai da te creativo, attivisti politici, religiosi o etici che un po’ tutti abbiamo accolto tra le amicizie per varie ragioni.
Se Facebook fosse furbo farebbe pagare pochi centesimi questa promozione personale. Il servizio diventerebbe subito estremamente popolare tra i suddetti arruffoni, che manipolerebbero quasi a piacere i nostri feed per veicolare un torrente di spam sociale. Vale anche la pena far notare un dato estremamente allarmante: in questi test gli aggiornamenti “pilotati” sono del tutto indistinguibili da quelli normali. A noi resta solo sperare che l’idea muoia lì dov’è venuta alla luce, agli antipodi.
fonte: downloadblog