L’emendamento alla legge di Stabilità, che ha determinato un aumento degli indennizzi per le tv (51 milioni in totale) che andranno a liberare volontariamente i canali, e ha promesso di riassegnare alcune frequenze (non assegnate nell’asta flop) alle stesse, sicuramente non andrà a risolvere l’intricatissima vicenda del mercato delle emittenti locali. L’esproprio, in un certo senso paradossale data la rinnovata concessione ventennale sull’uso dei canali attuata lo scorso anno dallo Stato, mette a rischio l’esistenza di decine di emittenti. Tv che nella maggior parte dei casi saranno pronte a ricorrere in tribunale per difendere il proprio patrimonio di frequenze.
«Vedo una sola via d’uscita – spiega Antonio Sassano, docente di Ingegneria a Roma ma soprattutto uno dei nostri massimi esperti in tema di frequenze – Non solo assegnare alle locali le frequenze non attribuite nella recente gara dell’ex beauty contest, come già pensa il governo, ma andare oltre e assegnarle a gara ad operatori di rete regionali per ospitare fornitori di contenuti locali da selezionare anche in questo caso, con una gara di evidenza pubblica. L’unico modo per valorizzare l’informazione locale di qualità e spingere gli editori a produrre programmi in grado di conquistare pubblico e non solo di occupare spazio».
Dal 2005 al 2012, in seguito al passaggio al digitale terrestre, più di 100 tv regionali hanno chiuso i battenti, scrive Stefano Carli su Repubblica Affari&Finanza. Ad oggi non si sa esattamente quante siano, falcidiate dal brusco calo dei ricavi pubblicitari e dal taglio dei finanziamenti pubblici (85 milioni nel 2012, 60 nel 2013, 55 quest’anno). Per fare la conta bisogna dedurle dal Roc, il Registro degli Operatori della Comunicazione del Ministero dello sviluppo economico, e dalle graduatorie per l’LCN formulate dai Corecom e tenute dall’Agcom, e da altri registri.
Il pasticcio delle tv locali inzia da qui. Da un settore della comunicazione privo di regolamentazioni essenziali e invece zeppo di norme in contraddizione, a partire dai finanziameni dello Stato, ripartiti in modo confuso e inefficace, con ampi margini per contestazioni, continui ricorsi ai Tar e anche aperti alla possibilità di truffa. Si ipotizza che ci siano emittenti che fanno fino al 90% dei loro ricavi con il contributo pubblico. La ripartizione attualmente in vigore distribuisce l’80% dei finanziamneti alle prime emittenti in graduatoria (il 37% del totale), il 20% invece va a tutti. Ma per un editore o un’impresa, complici i controlli inefficaci, è molto semplice gonfiare i fatturati (anche tra emittenti dello estesso editore) o aumentare sulla carta il numero dei dipendenti per scalare le graduatorie.
Molte emittenti sono società piccolissime, spesso imprese familiari con meno di dieci dipendenti. A volte uno stesso editore moltiplica più srl ognuna delle quali è una singola emittente tv. E la legge non aiuta per nulla. «Nell’ultimo bando del Mise per l’assegnazione dei fondi pubblici non si chiarisce tra impresa e emittente – spiega Michele Petrucci, presidente del Corecom Lazio e vicepresidente del Coordinamento di tutti i Corecom – Per cui noi, dovendo stilare la graduatoria in base alla quale il Ministero assegna i fondi, non sappiamo se certi requisiti, i dipendenti, il numero di giornalisti, i requisiti di fatturato, vadano ascritti all’emittente o all’editore. Nel primo caso un editore può ricevere tanti contributi quante sono le sue emittenti. Serve chiarezza e soprattutto servono criteri di assegnazione più selettivi, a vantaggio della qualità e delle società che investono di più sui contenuti».
It Media Consulting ha presentato il 25 novembre uno studio per il Corecom dedicato alla situazione nel Lazio, ma che ha ripreso e rielaborato dati nazionali. In quattro anni, da 2008 al 2012 i ricavi complessivi del settore dell’emittenza televisiva locale nel Lazio sono scesi da 52 milioni di euro a 41 milioni nel 2012 ( una riduzione media superiore al 20%) mentre il crollo dei ricavi pubblicitari ha raggiunto una quota prossima al 50%. Circa il 20% in meno gli addetti alle tv del Lazio che sono passati da 586 a 411.
Il direttore generale di It Media Consulting, Augusto Preta, ha sottolineato come prima dello Switch-off analogico le tv locali rappresentassero un punto di riferimento importante nel pluralismo dell’informazione. Con il digitale, che ha richiesto grandi investimenti, questo ruolo è venuto meno, anche se ancora oggi sono proprio le news a rappresentare il settore cruciale dei palinsesti. E sono proprio le maggiori tv locali quelle fanno realmente informazione, scrive Stefano Carli, ad essere più a rischio in questo far west catodico. Telelombardia, Antenna 3, Telenova a Milano e regione, Canale Italia di Lucio Garbo in Veneto, il consorzio 7Gold che fa capo a Giorgio Tacchino, Telenorba dei Montrone, in Sicilia Telejonica e Rete 8 che fanno capo a Mario Ciancio, T9 e Tr56 del gruppo Caltagirone nel Lazio, sono tutte in crisi. Tutte hanno in atto cassa integrazione e mobilità. La storica tv romana SuperTre della famiglia Rebecchini ha già spento le antenne.
«Tutte assieme hanno gli stessi dipendenti di Mediaset, fanno un decimo del suo fatturato e un centesimo dei suoi ascolti». «I ricavi sono il fattore critico – spiega Augusto Preta – La pubblicità che a livello nazionale tra il 2008 e il 2012 è scesa dll’11,7% nelle locali è crollata del 37,5%. Nello stesso tempo i costi sono saliti del 13% a livello nazionale e del 75% nel Lazio, dove ci sono 49 editori, e ben 164 canali. Gli ascolti, sui canali rilevati dall’Auditel, scendono: sono passati, sul totale nazionale, dallo 0,16% del 2007 allo 0,03% del 2012. A livello locale e soprattutto sulle news, finora il vero punto di forza di queste tv, si sente fortissima la concorrenza di Internet. Ma da parte degli editori non abbiamo registrato strategie importanti per sviluppare la loro presenza sul Web».
fonte: tvblog