Il dollaro si prevede al ribasso ancora, e c'è preoccupazione sui mercati, anche per quello che potrebbe essere richiesto all'Italia come pare
Bond e valute: rendimento T-Note nuovo driver per il cambio Eur/Usd?
Diversi espserti sono concordi nel giuicare il dollaro debole nel lungo-medio temine, ma la vera preoccupazione per molti è l'Italia oltre almeno 7 elementi generali dei mercati. Ma è l'Italia che preoccupa di più e l'Ue è già intervenuta con tasse e altre arriveranno.
La debolezza del dollaro e alri 7 elementi preoccupano i mercati, così come la stuazione in Italia.
Paura sul mercato, 7 elementi e previsione dollaro
Quando a dominare i mercato è l'incertezza, tutto è possibile. Lo dimostrano i fatti recenti e arrivano avvisaglie continue da quelle oscillazioni così pronunciate da far immaginare il peggio. Ci sono almeno 7 elementi di strettissima attualità che provocano preoccupazioni. Uno dopo l'altro i prezzi del petrolio in rialzo, il rischio di una guerra commerciale paventato da Donald Trump, l'aumento dei rendimenti dei Treasury statunitensi a 10 anni, i titoli tecnologici in calo alla luce dei recenti scandali sul tema della riservatezza degli utenti, la pubblicazione degli utili societari ovvero le trimestrali di società ad alta capitalizzazione negli Stati Uniti, l'imprevedibilità di Paesi come l'Iran e la Corea del nord, la politica della Federal Reserve. E poi, fino a che punto i mercati emergenti sono in grado di offrire un riparo? Ecco allora che si affacciano sul mercato investitori cauti che preferiscano rimanere con la liquidità in mano, riducendo l'allocazione di capitali in titoli azionari a un valore ai minimi di 18 mesi. A prevalere sembra per ora essere la volontà di selezionare con cura gi investimenti, rimanendo comunque attivi. Altro elemento di preoccupazione collegato ai rendimenti dei tassi di interesse molto alti dei treasury bond è derivato dal dollaro. Il dollaro ha una tendenza ribassista che si potrebbe rafforzare in quanto i compratori potrebbeero continuare ad acquistare dollaro per comprae bond Usa che sonoa rrivati al 2,5% di rendimento annuo.
Ma c'è molta preoccupazione per l'Italia
Lo stallo di una Italia ancora senza governo a oltre due mesi dalle elezioni preoccupa l'Ue: stando a quanto riportano le ultime notizie, la Commissione europea avrebbe lanciato il suo primo monito sulle incertezze politiche italiane che possono rendere i mercati più volatili e avere un impatto negativo sull’economia. E', effettivamente paradossale, e forse mai accaduto, che dopo anni di governi non eletti, finalmente si voti ma al termine delle elezioni per ulteriori mesi si rimanga senza governo. Si tratta di una situazione forse più unica e rara e proprio questa unicità è ciò che maggiormente preoccupa e che dovrebbe far riflettere, richiamando ad un maggior impegno tutti gli attori protagonisti della stessa situazione. Presidenti e politici il cui unico impiegno dovrebbe essere quello di 'sistemare' il governo. Ma si tratta di uno scenario al momento, come confermano le ultime notizie, ben lontando dal realizzarsi concretamente.
Italia in stallo senza governo
A preoccupare l’Ue è la situazione politica italiana: la mancanza di un governo genera incertezza, secondo quanto sottolineato dalla Commissione europea e questa incertezza non fa altro che rendere instabile la situazione economica, generando forte volatilità sui mercati, e rendendo sempre più complessa e lenta la strada delle riforme intrapresa negli ultimi cinque anni e questa situazione potrebbe far dubitare sulla capacità dell'Italia di ‘riprendersi’, anche se fino a qualche tempo fa sembrava proprio quello che stava accadendo. Del resto, come confermano le ultime notizie, nonostante una lieve crescita registrata nei mesi scorsi, il nostro Paese è ancora ultimo per crescita sia nella zona euro sia nell'Unione Europea e i dati per il 2019 anticipano un ulteriore rallentamento all’1,2% e per quest’anno il buco dell'Italia in termini di saldo netto strutturale è pari quasi ai 5 miliardi di euro.
Secondo le ultime notizie, l’economia della zona euro dovrebbe crescere del 2,3% nel 2018 e del 2,0% nel 2019 per un lieve rallentamento della congiuntura internazionale, mentre le stime per l’Italia parlano di una crescita economica dell’1,5% quest’anno e dell’1,2% l’anno prossimo. Secondo il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, se ora si è verificata una decelerazione a inizio 2018 ma si tratta di un rallentamento dovuto a fattori temporanei, quello stimato per il 2019 potrebbe essere determinato anche dall'adattamento della politica monetaria della Banca centrale europea.
Italia e conti pubblici: nessuno sforzo
Se è vero che in Italia negli ultimi tempi, secondo le ultime notizie, esportazioni e investimenti sarebbero cresciuti, la disoccupazione diminuita e l'inflazione rimasta stabile, d’altro canto, per Moscovici, non è stato dimostrato alcun particolare sforzo per l’aggiustamento dei conti pubblici. E si tratta certamente di un capitolo importante sul quale bisognerebbe, invece, lavorare. Non solo, infatti, l'Italia è fanalino di coda dell'Unione, considerando, come sopra detto, che per quanto riguarda le stime di crescita di questo biennio, è la più bassa dei 28 Paesi, insieme a Regno Unito, ma fa anche parte dei Paesi della zona euro che, per particolari circostanze legate al livello del debito e ai deficit strutturali, devono aggiustare i propri conti pubblici nel 2018.
Eppure, lo sforzo italiano di aggiustamento dei conti pubblici risulta, come confermato da Moscovici, pari quasi a zero. Tuttavia, dalle parole di Moscovici si evince il particolare ruolo dell'Italia nell'Euro, considerando che lo ha definito un Paese essenziale, augurandosi che continui a rispettare le regole della zona euro, concordate insieme. Sarebbero, dunque, diversi i rischi evidenziati dalla Commissione sul futuro dell'economia e ciò che innanzitutto servirebbe sarebbe la costituzione di un governo, certo e saldo, che sia in grado effettivamente di guidare il Paese nel suo processo di ricostruzione. Ma è anche quasi obbligatorio che si lavori sui conti pubblici per ‘aggiustare’ una situazione economica che al momento è ancora piuttosto preoccupante per il nostro Paese. E si tratta, come ben evidente, di preoccupazioni ormai sotto gli occhi di tutta Europa.
E nel DEF c'è già una stangata ma è sola la prima promessa all'Ue
Delle promesse fatte in campagna elettorale non c’è traccia nel Documento di Economia e Finanza che il Governo Gentiloni, ancora in carica in attesa che si sblocchi la situazione di stallo che si è venuta a creare dopo le elezioni politiche del 4 marzo, ha approvato e che dovrà ora essere inviato a Bruxelles entro la fine di aprile.
Un documento, e non poteva essere altrimenti, non impegna l’Italia per il futuro, ma descrive la situazione aggiornata e i risultati ottenuti negli ultimi anni, con le previsioni macroeconomiche. Previsioni che parlano di una crescita del Pil dell’1,5 per cento nel 2018, 1,4 % nel 2019 e 1,3 % nel 2020.
Ebbene il prossimo Governo avrà un compito già difficile, ovvero quello di scongiurare il tanto temuto aumento delle imposte indirette nel 2019 e, in minor misura, nel 2020, previsto dalle clausole di salvaguardia in vigore. Un compito gravoso che toccherà al prossimo esecutivo che se non riuscirà a trovare qualche soluzione, probabilmente sarà costretto a cambiare la propria agenda visto che non potrà mettere in campo i provvedimenti che hanno caratterizzato la recente campagna elettorale.
Al momento l'va appare aumentata con un aumento per le famiglie di circa 1.312 euro a famiglia, ma non sarà il solo come vedremo
Anche il Def 2018, dopo la sperimentazione dell’anno scorso, è corredato dagli “Indicatori di benessere equo e sostenibile” sulle diverse aree che caratterizzano la qualità della vita dei cittadini. Ma delle proposte sentite in campagna elettorale non c’è traccia nel Documento che è stato redatto interamente, come previsto in casi come questo, dal Governo che è rimasto in carica per sbrigare gli affari correnti.
Previsioni Pil con nuove tasse
Se da un lato le prime informazioni che circolano sulla ormai prossima pubblicazione del Def da parte del Ministero dell’Economia del Governo ancora in carica in questa lenta e farraginosa transizione dopo le elezioni del 4 marzo, sono positive, dall’altro l’Italia sembra condannata a non poter gioire mai a pieno dei traguardi raggiunti. Sembra infatti ormai un dato accertato che il Pil nel 2018 crescerà di uno 0,1% in più rispetto alle previsioni attestandosi a un +1,6% rispetto all’1,5% delle precedenti previsioni. Un risultato che però rischia di non far sentire i suoi effetti benefici sull’economia italiana, o meglio di farlo per troppo poco tempo per raggiungere traguardi davvero significativi per la ripresa economica.
Questo perché, alla luce delle previsioni, gli effetti recessivi dell'aumento dell'Iva e delle accise che se non ci saranno opportune e tempestivi correttivi, graveranno per oltre 30 miliardi di euro sul bilancio dello Stato si farebbero sentire nel biennio 2019-2020 con la discesa all'1,4% e all'1,3%. Certo sono solo ipotesi, ma un indizio concreto viene direttamente dal Fondo Monetario Internazionale che ha fatto sapere che non si attende più il raggiungimento del pareggio di bilancio in Italia per il 2020. Non un bel segnale
E se l’economia in Italia sarà destinata a rallentare nel biennio 2019-2020, le motivazioni sono da rintracciare in un ambito ben preciso. Le chiamano clausole di salvaguardia ed entrano in vigore automaticamente nel caso in cui il bilancio non garantisca il raggiungimento di alcuni obiettivi ben precisi. In concreto consistono nell’aumento di Iva ed accise che, secondo uno studio pubblicato da Il Sole 24 Ore potrebbe portare ad un aggravio di spese per le famiglie italiane che si aggira intorno ai 317 euro di media nel prossimo anno.
Se il Governo non troverà infatti i soldi necessari per evitare che questo accada, l’anno prossimo gli italiani dovranno sborsare qualcosa come 30 miliardi di maggiori imposte complessive. Ovvio che, in questo quadro, pesi anche l’incertezza politica che dal 4 marzo ha avvolto l’Italia e non sembra certo svanire in tempi brevi. Per questo motivo il ministro dell’Economia uscente Pier Carlo Padoan ha lanciato un monito molto chiaro da Washington dove è atterrato per i lavori primaverili dell'Fmi. In sostanza Padoan ha sottolineato la bontà dell’impianto riformatorio messo in campo dai Governi di questi ultimi anni soffermandosi sulla necessità di andare avanti sulla stessa strada.
E aumenti maggiori
Tempi durissimi in arrivo per i contribuenti italiani perché a nuovo governo, qualunque esso sia, spetterà il compito tutt'altro che semplice di disinnescare oltre 60 miliardi di euro di tasse tra trappole fiscali e aumento dell'Iva. Ci riuscirà? E a che prezzo? Difficile a rispondere sin da subito, se non altro perché un nuovo esecutivo non c'è e restano perciò da scoprire intenzioni e strategie. E alla fine dei giochi sono gli stessi contribuenti chiamati a mettere mano al portafogli per sistema - in maniera diretta e indiretta - i conti pubblici piuttosto sballati. Per il Centro studi di Unimpresa si prospettano allora tempi molto duri.
Secondo l'analisi di Unimpresa, da qui a tre anni sono in arrivo 30 miliardi di euro per via dell'aumento Iva fino al 25% nel biennio 2019-2020. Non solo, ma altrettanti saranno versati dai contribuenti per via di quanto contenuto nell'ultima legge di bilancio ed evidentemente mai reso noto fino in fondo o comunque con estrema chiarezza. Gli studiosi parlando di trappole fiscali e puntano l'indice contro 27 voci nascoste o poco note. Dalle misure sulla fatturazione elettronica sono attesi aumenti delle entrate per 4,2 miliardi di euro nel triennio; la stretta sulle frodi nel commercio degli oli minerali vale 1,09 miliardi di euro; con la riduzione della soglia dei pagamenti della pubblica amministrazione a 5.000 euro occorre mettere in conto 495 milioni di euro; dai nuovi limiti alle compensazione automatica dei versamenti fiscali 717 milioni di euro.
Unimpresa ricorda che l'aumento dal 40 al 55% (per il 2018 e per il 2019) e al 70% (dal 2020) degli anticipi delle imposte sulle assicurazioni sono destinati a far incamerare più entrate pari a 960 milioni complessivi. Il ridimensionamento del fondo per la riduzione della pressione fiscale vale 1,2 miliardi di euro. Le nuove disposizioni in materi di giochi valgono invece in totale 421,2 milioni di euro. Sono sei le voci che riguardano le detrazioni per spese relative alla ristrutturazione edilizia o alla riqualificazione energetica. Ma poi ci sono anche gli effetti dei rinnovi contrattuali e delle nuove assunzioni, l'entrate in vigore della nuova Iri, l'imposta sostitutiva sui redditi da partecipazione delle persone fisiche e tante altre voci sono apparentemente minori.
Secondo i calcoli dell'associazione, nel biennio 2019-2020 l'aumento delle aliquote Iva - quella ordinaria dal 22 al 25% e quella agevolata dal 10 all'11,5% - comporterà un aumento del gettito tributario superiore a 30 miliardi di euro. Solo quest'anno, invece, Nel dettaglio, il gettito tributario salirà di 11,7 miliardi di euro, nel 2019 crescerà di 9,5 miliardi di euro e nel 2020 aumenterà di 8,3 miliardi di euro.
Poco Tempo
Non solo per conti alla mano occorrono subito 30 preziosi miliardi di euro per sterilizzare l'aumento dell'Iva (dal 10 al 12% quella intermedia e dal 22 al 24,2% quella ordinaria) ed evitare l'ennesima introduzione di una accise sui carburanti. Succede perché gli equilibri economici continuano a essere delicati e, a meno di un colpo di spugna, occorre andare in scia di quanto finora previsto. E anzi, considerando che il prossimo esecutivo sarà frutto di un compromesso, sarà inevitabile tenere conto della strada finora percorsa.
E che la situazione sia tremendamente delicata è dimostrato dalle recenti stime del Codacons sulla base dello studio di Confesercenti, secondo cui un eventuale incremento delle aliquote Iva dal prossimo anno sarebbe deleterio per i consumi perché produrrebbe una stangata per gli italiani pari a 791 euro annui a famiglia. E solo di costi diretti.
E alcune tasse già crescite come tasse finanziarie
E già sono aumentatte le imposte che riguardano le rendite finanziarie destano molto interesse. Ci ha pensato il quotidiano “Il Sole24Ore” a spiegare nel dettaglio quali saranno le conseguenze del fatto che verranno tassate al 26%. Una tassazione che verrà estesa anche ai dividendi e alle plusvalenze legate alle cosiddette partecipazioni qualificate.
Questo significa che la novità più importante contenuta nell'iter economico consiste nel fatto che le rendite finanziarie saranno tassate a partire dal 2018 al 26 per cento e questa tassazione verrà applicata anche agli utili qualificati, sancendo la definitiva scomparsa di questa differenza tra utili qualificati e non qualificati. Un provvedimento che avvantaggerà, stando alle previsioni del quotidiano economico e finanziario più importante d’Italia, quelli che passeranno all’incasso di dividendi nella fascia di reddito che va oltre i settantacinque mila euro. Coloro che invece potranno incassare dividendi in una fascia di reddito più bassa dovrebbero risultare, invece, penalizzati da questo nuovo provvedimento.
Per le rendite, a partire dal prossimo anno, dunque, si applicherà l’imposta sostitutiva del 26%. Questo significa che scomparirà la differenza tra partecipazioni qualificate e non con probabili ricadute positive per coloro che passeranno all’incasso di dividendi in quella particolare fascia di reddito che supera oltre i settantacinque mila euro. Rischiano, invece, di essere notevolmente penalizzati i contribuenti che incasseranno dividendi e che si troveranno negli scaglioni di reddito più bassi. Lo stesso accadrà per le plusvalenze relative a partecipazioni qualificate. Uno dei lati positivi che sembra aver convinto i risparmiatori risiede nel fatto che, dopo l’entrata in vigore di questo provvedimento, non esisterà più nessuna differenza tra plusvalenze e le minusvalenze derivanti da partecipazioni qualificate con le minusvalenze e plusvalenze non qualificate.
Provvedimenti ovviamente che nell’ottica di chi li ha proposti dovrebbero consentire un introito positivo che per il 2018 è stato stimato pari a circa 253 milioni circa. Cifra che scenderà a dieci milioni nel 2019 prima che il saldo tra tassazione a Irpef e la nuova imposta sostitutiva assuma il segno negativo per una cifra che dovrebbe superare gli undici milioni di euro. Questo succederà dal dal 2020 in poi.
Per gli strumenti finanziari partecipativi e per i contratti di associazione in partecipazione si fa riferimento al rapporto fra apporto e patrimonio netto dell’emittente o dell’associante. Le novità avranno ripercussioni concrete anche per quel che riguarda l’impatto delle plusvalenze e delle minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni, oppure altri strumenti finanziari. Le conseguenze di questi nuovi provvedimenti interesseranno sia le persone fisiche residenti, non residenti, le società semplici e gli enti non commerciali residenti in Italia.
E imposte locali
I dati della Uil sono chiari, le famiglie italiane sono schiacciate sempre da più tasse locali, sottolineando che pure quelle nazionali nonostante si dica siano in diminuzione (e lo sarebbero di circa 1 punto o 1,5 che comunque è pochissimo) non cessano di essere pesanti e molte, anzi, sono nscoste e occulte e le cose non sembrano tendere a migliorare. Anzi....nonostante tutte le promesse per il voto in arrivo, anche percè il debito pubblico è ancora altissimo
Che le tasse siano uno degli incubi peggiori per gli italiani che, nonostante le cicliche promesse di alleviamento del carico fiscale, sono ormai consapevoli di pagare un prezzo salatissimo per non avere in cambio servizi adeguati. Un mantra che torna soprattutto quando c’è una campagna elettorale in atto. E in un paese che vive questa condizione in maniera quasi permanente, si capisce che anche le tasse rappresentano un argomento spesso al centro di dibattiti e polemiche. Così quando l’analisi del servizio Politiche territoriali della Uil sull'andamento delle tasse locali nel 2017 svela che sono stati quarantasette i miliardi di euro pagati dagli italiani nel 2017 per tasse e balzelli regionali e comunali, il discorso si infiamma e prende vigore nuovamente. Questo significa, infatti, che in media ogni famiglia nel 2017 ha sborsato più di duemila euro per l'Imu o Tasi, addizionali regionali Irpef, Irpef comunale, tassa sui rifiuti. In particolare, per l'Imu o Tasi, per immobili diversi dalla prima casa, l'esborso medio è stato di 814 euro; per le Addizionali Regionali Irpef mediamente l'esborso è stato di 726 euro; per le Addizionali Comunali Irpef 224 euro; per la Tari 302 euro.
Tanto per fare qualche esempio, in Lombardia il costo a tonnellata è di 253 euro, a Isernia 249 euro, a Pesaro Urbino 263 euro. E fin qui le differenze sono contenute, ma a Roma la stessa tonnellata di spazzatura costa 406,26 euro l'anno, a Napoli 430 euro, ad Avellino 451, a Palermo 550,47 euro. Siamo insomma davanti a una vera e propria giungla di tariffe attuale. A quanto pare, alla base di questi scompensi ci sono gli scarsi controlli sugli Ato ovvero gli Ambiti territoriali ottimali, introdotti con l'obiettivo di creare un modello di gestione aggregata dei rifiuti accorpando più ambiti comunali per abbassare le tariffe grazie alle economie di scala. Tra l'altro, i singoli comuni hanno la facoltà di introdurre agevolazioni ed esenzioni anche al di à degli specifici casi individuati dalla legge. Godono insomma della massima autonomia regolamentare che può essere utilizzata bene o male a seconda delle circostanze.
Immobili....
Un peso fiscale altissimo del valore di 40 miliardi di euro pesa sui proprietari di immobili in Italia come se si trattasse di una patrimoniale. Secondo le ultime notizie rese note dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, i 40 miliardi di euro rappresenterebbero il valore totale di Irpef, Ires, imposta di registro e di bollo e cedolare secca, che, stando alle ultime notizie, pesano per 9,1 miliardi e alle quali si sommano ulteriori 9,9 miliardi di tasse legate al trasferimento (dall'iva alle imposte su successioni e donazioni, dagli oneri catastali alle imposte di registro) e 21,2 miliardi di euro di imposte a carico dei proprietari degli immobili, da Imu, a Tasi, Tari e ulteriori eventuali.
Sempre secondo la Cgia, i maggior colpiti dal peso delle imposte sugli immobili sono soprattutto i proprietari di seconde case, per cui chi oggi, oltre all’abitazione principale, possiede una casa ‘in più’ al mare o in montagna, è decisamente penalizzato per quanto riguarda il carico fiscale sugli immobili. Secondo la stessa Cgia, infatti l'aumento del gettito prodotto da Ici, Imu e Tasi tra 2011 e 2016 è passato da poco più di un miliardo di euro a ben 11 miliardi e mezzo di euro. Elevato è stato anche l’aumento delle imposte registrato per immobili strumentali. Nello stesso periodo appena riportato, infatti, i proprietari di questa tipologia di immobili si sono visti più che raddoppiare il prelievo fiscale, salito da meno di 5 miliardi del 2011 (4,88 miliardi di euro) a quasi 10 oggi (9,72 miliardi).
E proprio sugli immobili ulteriori richiesta Ue
La riforma del catasto è congelata in attesa di capire quale sarà il suo destino. Già, ma cosa cambierebbe in concreto se i cambiamenti ipotizzati trovassero effettivamente spazio nell'ordinamento italiano? Il principale impatto sarà sul valore delle case nelle grandi città, destinato a essere portato molto più in su, sia in centro e sia in periferia. Ma c'è anche un altro aspetto da considerare e che probabilmente è stato sottovalutato: l'aumento delle tasse. A cercare di fare una stima precisa sul portafogli dei contribuenti ci ha pensato il Corriere della sera, secondo cui se le tasse sugli immobili fossero calcolate sui valori di mercato, gli imponibili fiscali crescerebbero fino a circa il doppio in periferia e a cinque volte di più in centro. Numeri evidentemente elevati che stanno forse alla base della decisione di rallentare con la riforma del catasto.
Ma che ci fosse qualcosa che non andava per il verso giusto era noto da tempo. Stando infatti a una prima valutazione, basato sulla sperimentazione della riforma del catasto a Roma e Milano, è stato sì registrato un aumento del valore di mercato di oltre un terzo, ma anche un aumento delle tasse sugli immobili ovvero Tasi e Imu. Succede adesso che il quotidiano ha confrontato le quotazioni a Milano relative al secondo semestre dello scorso anno con gli estimi catastali adesso in vigore. Da una parte ha ipotizzato che si tratti della prima casa del contribuente, e quindi con esenzione da Imu, e considerando l'imponibile ai fini delle imposte di trasferimento: va infatti ricordato che l'imposta di registro si paga sul minor valore tra l'imponibile fiscale e il prezzo reale di acquisto.
Dall'altra, per il non residenziale ha considerato l'imponibile ai fini Imu perché le imposte sono computate sul prezzo reale. Entrando più a fondo dei dati rilevati, per le case di pregio lo scarto tra mercato e fisco arriva a superare nelle aree di maggior valore anche il 400%. Per quelle accatastate come A2 (abitazioni di tipo civile) di finitura media in zona residenziale si è sopra il 300% mentre per la classe A3 (abitazioni di tipo economico) la differenza supera il 100%. Quote differenze nel non residenziale, dove il gap tra valore attuale e imponibile Imu per gli uffici nelle aree di pregio arriva fino al 100% per poi annullarsi progressivamente in periferia. E per i negozi, al di là del cuore vitale (quello di Via Vittorio Emanuele e del Quadrilatero), l'imponibile fiscale è maggiore del valore.
Le ragioni per cui la riforma del catasto è stata bloccata è per l'assenza di adeguate garanzie di invarianza di gettito, proponendo uno scenario di aumenti di tassazione sugli immobili. I cambiamenti ipotizzati prevedono la sparizione dell'attuale classificazione degli immobili, da raggruppare nelle categorie O (immobili ordinari) e S (immobili speciali). E ancora, gli immobili residenziali del gruppo A verrebbero inclusi nelle categorie O/1 (tutti gli alloggi situati in palazzine o condomini), O/2 (abitazioni isolate e villette a schiera), O/5 (cantine e soffitte), O/6 (box auto e garage, posti auto coperti e scoperti).
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Si prevede già un aumento senza riforma
Le tasse per quest'anno per la casa avranno un aumento di circa 9 miliardi sicuri indicati dalla Ulm, ufficio studi. Peso fiscale che interesserà tutti i cittadini e le imprese soprattutto a livello di imposte locali, ma che potrebbero aumentare anche se andasse in porto la riforma del catasto.
Vi dovrebbero, poi essere meno detrazioni per i familiari a carico, o comunque, regole differenti che dovrebbro peggiorare la situazione di dievrsi nuclei familiari, così come l'aumento del bollo dell'auto per le auto che inquinano di più.
E le detrazioni su ristrutturazioni e i lavoro di risparmio energetico saranno per la maggior parte di chi deciderà di intraprenderle minori.
Per le imprese e professionisti non ci sarà L'iri, la tasa unica del 24%,c he doveva essere introdotta proprio da questo iter economico, ma sarà rimandata con un risparmio mancato di circa 2 miliardi.
Tornando alla possibile crisi, ecco una ulteriore analisi
Il rapporto semestrale sulla stabilità finanziaria della Banca d'Italia mette in risalto una serie di luce e ombre e punta sulla benche e il debito pubblico.
Vi è un sostanziale miglioramento per le banche, soprattutto per le maggiori, anche se non da tutti gli esperti qusto punto è condiviso. In generale vi sono più utili e patrimonio per le banche italiane, menoc redti deteiorati e la possibilità di gestirli con più tempo a disposizione. Anche il settore del credito presenta un evolversi incorraggiante. I rischi del sistema banca in Italia dimninuiscono, ma vi sono ancora rishci per la bassa redditività degli istituti e le banche pi+ piccole sono vulnerabili ancora.
L'altro elemento analizzato è il debito pubblico, che pur se ci fosse il rialzo dei tassi dello spread non dovrebbe patirne molto grazie grazie al debito che è stato splamato molto sul lungo periodo con tassi di interessi bassi. Ma il debito pubblico sottolinea il rapporto è sempre troppo alto e un aument potrebbe pesare sullo sviluppo della ripresa che ancora langue ed essere pericoloso.
C'è chi parla di passività della politica italiana rispetto al tema della riforma delle banche credito cooperativo. La stessa che ha caratterizzato l'introduzione delle norme del bail-in ovvero la progressiva responsabilità dei clienti nel caso di fallimento della. Nel mirino ci sono adesso quelle regole sugli istituti di credito cooperativo, adesso al giro di bocca. La loro applicazione è infatti a un passo. In realtà, sin dal giorno della loro definizione non sono mancate polemiche e discussioni tra chi riteneva questo impianto di regole indispensabile e, anzi, voluto dallo stesso sistema del credito cooperativo in Italia. E chi invece ricostruisce i fatti in maniera differente, senza tirarsi indietro dall'utilizzo di toni duri, come storia di tradimenti.
Cosa cambia con la riforma delle banche credito cooperativo
Non dimentichiamo che stiamo parlando di circa 300 banche che, negli anni di piena crisi economica, quando il sistema bancario era a un passo da crac collettivo, esibiva coefficienti patrimoniali più elevati della media del resto del sistema bancario. Si trattava di perfomance al limite dello stupefacente, considerando anche l'aumento dei crediti deteriorati (a oggi non ancora smaltiti) per molte banche italiane. Ci stiamo naturalmente riferendo a una media generale, ben considerando che anche all'interno del mondo del credito cooperativo non mancano i casi di cattiva gestione, di cattivo funzionamento, di errori anche gravi, di alto rischio e di disfunzioni.
I contestatori lamentano che mentre gli altri paesi europei hanno evitato che i loro istituti di credito finissero sotto la vigilanza della Bce la strada seguita è stata opposta. Perfino in contrasto con l'interesse nazionale. Sulla base delle nuove regole le banche di credito cooperativo devono essere autorizzate dalla Banca d'Italia prima dell'iscrizione nel Registro imprese e nell'Albo delle società cooperative. L'adesione a un gruppo bancario cooperativo rappresenta adesso condizione indispensabile per il rilascio dell'autorizzazione all'attività bancaria in forma di BCC. Come dire, senza questo passaggio la cooperativa non può essere iscritta nell'Albo delle società cooperative.
Le altre novità
Altra novità: per costituire una BCC è necessario un numero di soci non inferiore a 500 e nessuno di loro può possedere azioni il cui valore nominale complessivo superi 500.000 euro. La riforma delle banche credito cooperativo punta al rafforzamento del patrimonio degli istituti di credito attraverso una base sociale più ampia e la possibilità di detenere un complesso più elevato di quote azionarie. Nasce poi il Gruppo bancario cooperativo formato da una società per azioni, dalle banche di credito cooperativo aderenti al gruppo, dalle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate dalla capogruppo, da eventuali altri sottogruppi a livello territoriale che fanno capo ad una banca spa.
Si addensano nubi oscure sul futuro dell’Italia. E sul nuovo Paese che verrà fuori dalle elezioni del 4 marzo, peseranno diversi nodi che la legislatura che si è appena conclusa, non è riuscita a sciogliere. Il primo e forse quello che agita di più i sogni di coloro che conoscono la materia, è quello delle banche. L’attività della Commissione Parlamentare sulle banche convocata per fare chiarezza su alcuni aspetti oscuri che riguardavano anche importanti esponenti del Governo, oltre a rivelarsi un boomerang per la stessa forza politica che l’ha voluta ad ogni costo, si è rivelata praticamente inutili ai fini di una questione che lentamente è uscita dal dibattito pubblico anche in quella che molti hanno già definito come la campagna elettorale peggiore dal dopoguerra ad oggi.
Non sono solo queste banche
E la questione rischia quindi di diventare una bomba sociale. L’eredità dei Governi Gentiloni e Renzi, che pure hanno provato a rimettere in moto un Paese fiaccato da dieci anni di crisi economica e anche di rappresentanza politica rischia quindi di pesare in maniera negativa sul futuro dell’Italia. E il caso Mps suscita paure che basta evocarle per capire la complessità della situazione che il nuovo Governo dovrà gestire nei prossimi anni. Vediamo quali sono tutti i motivi.
Tanto inchiostro è stato sprecato per descrivere una ripresa economica che, seppure c’è stata, non ha raggiunto gli standard europei. E soprattutto non ha dispiegato concretamente i suoi effetti benefici alla maggioranza della popolazione che ha continuato ad arrancare e a temere per il proprio futuro. Lavorativo e non. Sulla questione delle banche, su cui evidentemente non è stata fatta la necessaria chiarezza, l’eredità lasciata dai Governi Gentiloni e Renzi rischia di essere pesante.
Addirittura, per alcuni osservatori, una vera e propria bomba. Il problema intorno al quale ruota la questione è essenzialmente quella della qualità dei crediti in capo alle banche italiane. Non si potrà ancora per molto fare come lo struzzo e mettere la testa sotto la sabbia per far finta di non vedere come ad esempio Mps, istituto che già è salito agli onori della cronaca diverse volte negli ultimi anni (con risvolti anche tragici come la morte di David Rossi, una vicenda ancora oscura), sia l’emblema di questo pericoloso impasse. Costato agli italiani decine e decine di miliardi di euro (alcune stime parlano di 26 miliardi di euro serviti a salvare l’istituto senese e le altre banche interessate da questa crisi). E a nulla sono servite le operazioni dei prestigiatori della finanza. Che hanno provato a nascondere con varie operazioni, lo stato reale del sistema bancario italiano. Ma il mercato prima o poi arriverà alla verità. E quello sarà il momento in cui i nodi verranno al pettine. E saranno molto probabilmente guai.
Il caso Mps è sufficiente a spiegare quali sono i motivi del grave problema sociale rappresentata dalle banche. Una bomba pronta ad esplodere. Più presto di quanto si possa immaginare. La ricapitalizzazione “preventiva” dell’istituto senese avrebbe dovuto rimettere le cose a posto riportando la banca a livelli di redditività e di efficienza accettabili. In realtà, nonostante la ripresa economica e l’iniezione di fondi pubblici, Mps continua a essere un malato grave. Il rischio è che alla fine al consolidamento del settore bancario l’Italia debba assistere all’estinzione di una grossa fetta di aziende di credito, con costi economici e sociali molto elevati.
Banca italiana, per la prima volta conti correnti congelati
Si tratta di un provvedimento destinato a passare alla storia perché si tratta delle prima volta che una banca decide di bloccare i conti correnti dei propri clienti. È successo alla Banca Base di Catania per via del commissariamento dell'istituto di credito. In buona sostanza, ai clienti viene inibita la gestione per 30 giorni e il bancomat delle due filiali è adesso bloccato. Confedercontribuenti ha inviato una lettera a ministro dell'Economia, al direttorio e all'Unità gestione delle crisi della Banca d'Italia con la richiesta della revoca del provvedimento di sospensione dell'operatività dei correntisti. Secondo il presidente nazionale Carmelo Finocchiaro, la decisione è semplicemente ingiusta. A suo dire, non possono essere i clienti correntisti a pagare le conseguenze di responsabilità gestionali. Di conseguenza chiede che si proceda con immediatezza allo sblocco delle disponibilità finanziarie dei correntisti. Un mese per aziende e famiglie - riflette - costituisce un atto che ancora una volta Banca d'Italia fa nei confronti di coloro che non hanno alcuna responsabilità
Il presidente dell'associazione a difesa dei cittadini rileva che per le imprese è anche un discredito nei confronti dei fornitori che si vedono tornare indietro assegni con il rischio del blocco delle forniture. Una situazione che non è mai avvenuta in Italia per nessun altro commissariamento. Quale sarà la risposta del Ministero dell'Economia? Arriverà il decreto di sospensione di tutti i pagamenti dovuti all'Erario in questi trenta giorni, non essendoci alcuna responsabilità da parte dei contribuenti, clienti di Banca Base?
Governatore della Banca d’Italia su banche italiane
Secondo quanto dichiarato dal governatore Visco nel corso di una lectio magistralis tenutasi all’università di Tor Vergata, le banche italiane, si sarebbero riprese dalla profondissima crisi che qualche tempo fa le ha colpite nonostante, avverte, vi siano ancora delle debolezze. Visco, infatti, si è dimostrato fortemente ottimista sta sullo stato di salute complessivo delle banche, spiegando che i problemi non dipendono da una vigilanza lenta o disattenta, ma dalla forte crisi economica che il nostro Paese sta ancora affrontando e che ha acuito il peso dei crediti in sofferenza e degli altri crediti deteriorati. Con la crisi, infatti, il problema si è, appunto, acuito, ma già esisteva.
E a rendere la situazione ancor più complessa l’arretratezza tecnologica delle banche italiane, che hanno ancora troppi sportelli e troppi dipendenti ma una efficienza più bassa in media rispetto alle concorrenti straniere; la valutazione dei titoli di stato nei portafogli delle banche non più a rischio zero. E sono sostanzialmente proprio queste le debolezze delle banche italiane sottolineate da Visco e che bisognerebbe superare ripartendo da operazioni che risolvano innanzitutto il problema dell’inefficienza strutturale in modo da rendere le stesse banche italiane più pronte ad affrontare le sfide del futuro.
La prima, secondo Visco, è proprio la valutazione dei titoli di stato nei portafogli delle banche, che dopo la crisi non sono più a rischio zero, ma da cui le banche non si possono nemmeno liberare velocemente e facilmente. Tocca al governo risolvere questo problema e perché ci riesca è necessario, quasi obbligatorio, che sia forte e se consideriamo che nonostante le elezioni l’Italia un governo ancora non lo ha, la situazione non è certo delle migliori.
Situazione banche italiane: come risolvere le debolezze
Le dichiarazioni di Visco sulla buona salute delle banche italiane vengono dunque smentite dalla scarsa liquidità che esse detengono ancora, dalla sofferenza di diversi crediti che ancora si registra, dall’inadeguatezza di diversi sistemi di gestione degli stessi istituti. D’altro canto, pur parlando di ritrovata buona salute ne sottolinea le debolezze e per risolvere le debolezze delle banche italiane spiegate da Visco servono, dunque, stabilità e fiducia con interventi mirati e non generalizzati e bisognerebbe rivedere le regole troppo rigide imposte dall’Europa per la gestione delle crisi bancarie. Visco ha poi spiegato che quello attuale potrebbe essere il momento migliore, data la fase congiunturale, perchè le banche rafforzino i loro bilanci ma occorre che colgano tale opportunità con interventi giusti e specifici. Per Visco, infatti, la questione delle modalità di soluzione delle crisi bancarie nell’Unione bancaria in modo efficiente, rapido e ordinato, anche alla luce delle difficoltà di gestire e coordinare tutte le autorità e le istituzioni, deve ancora essere affrontato in modo concreto, profondo e soddisfacente. Per il governatore della Banca di Italia, il lavoro da compiere in tal senso è ancora tantissimo.
Prima i clienti e poi le banche
Le raccomandazioni arrivano da Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia, e di conseguenza non passano nell'indifferenza, ma sollecitano un confronto nel comparto. Riguarda il vivace mercato della cessione del quinto dello stipendio e le sue parole suonano forte e chiaro. A detta del numero uno di Via Nazionale è arrivato il momento di ridurre il contenzioso, garantire una maggiore tutela dei clienti e mitigare i rischi operativi, reputazionali e legali per gli intermediari. Una presa di posizione netta che non arriva a caso, ma rappresenta piuttosto la sintesi di un bisogno di cambiamento da una parte e di regolamentazione dall'altra, sia da parte dei clienti e sia di chi fa un business di questo segmento di mercato.
Ma c'è soprattutto un passaggio che merita maggiore attenzione ed è quello dei diversi livelli di priorità indicati dal numero uno di Bankitalia. In estrema sintesi, il primo livello di tutela spetta ai clienti e solo in subordine le banche. Visco non le manda a dire spiegando che l'attività di controllo più recente e il confronto con il mercato hanno messo in evidenza la presenza di problemi nel settore del mercato del quinto dello stipendio ovvero nei comportamenti verso i clienti. In occasione degli "Orientamenti di vigilanza sui prestiti contro cessione del quinto dello stipendio" ha rivelato come a incidere in maniera decisiva siano le condotte ritenute opportunistiche di alcuni operatori.
Qualcosa non funzione
E che qualcosa non funzioni per il verso giusto è dimostrato dal contenzioso tra intermediari e clienti all'Arbitro bancario finanziario. L'appello è estremamente chiaro: le banche sono invitate a rivedere subito le soluzioni di carattere organizzativo e applicativo e apportare le necessarie correzioni. E c'è anche un'altra dichiarazione di Ignazio Visco che scuote il comparto: le nuove regole applicate al sistema bancario mondiale devono essere estese allo shadow banking, il settore finanziario ombra. Si tratta di un settore ancora inesplorato.
Si addensano nubi oscure sul futuro dell’Italia. E sul nuovo Paese che verrà fuori dalle elezioni del 4 marzo, peseranno diversi nodi che la legislatura che si è appena conclusa, non è riuscita a sciogliere. Il primo e forse quello che agita di più i sogni di coloro che conoscono la materia, è quello delle banche. L’attività della Commissione Parlamentare sulle banche convocata per fare chiarezza su alcuni aspetti oscuri che riguardavano anche importanti esponenti del Governo, oltre a rivelarsi un boomerang per la stessa forza politica che l’ha voluta ad ogni costo, si è rivelata praticamente inutili ai fini di una questione che lentamente è uscita dal dibattito pubblico anche in quella che molti hanno già definito come la campagna elettorale peggiore dal dopoguerra ad oggi.
E la questione rischia quindi di diventare un problema sociale molto pesante L’eredità dei Governi Gentiloni e Renzi, che pure hanno provato a rimettere in moto un Paese fiaccato da dieci anni di crisi economica e anche di rappresentanza politica rischia quindi di pesare in maniera negativa sul futuro dell’Italia. E il caso Mps suscita paure che basta evocarle per capire la complessità della situazione che il nuovo Governo dovrà gestire nei prossimi anni. Vediamo quali sono tutti i motivi.
I conti dell'Italia non sono in ordine e lo sapevamo da tempo. Ma la questione è anche un'altra: nonostante la consapevolezza sul debito pubblico alle spalle e sulle difficoltà a far ripartire il Paese, la situazione è migliorata o comunque non è peggiorata?
Le risposte
Le risposte che stanno circolando non sono affatto rassicuranti perché negli ultimi tre anni il debito è salito a 119 miliardi di euro. Non solo, ma secondo l'Osservatorio di Carlo Cottarelli, l'ex commissario alla spending review il cui programma di taglio della spesa pubblica è rimasto chiuso nel cassetti, nell'arco di tre anni il debito pubblico aumenterà ulteriormente di 55 miliardi di euro.
E il tutto, dettaglio di primissimo piano, mentre la stretta attualità passa dai 26,5 miliardi di euro di clausole di salvaguardia da sterilizzare perché il primo gennaio 2019, a meno di correttivi, scatterà l'aumento dell'Iva. Viene naturalmente da riflettere perché la situazione raccontata nei giorni precedente al voto era ben differente rispetto a quella attuale.
E anzi, veniva raccontata una realtà ben differente e piuttosto rassicurante. Di positivo (ma fino a che punto?), a fronte di un debito cresciuto in valore assoluto, c'è solo che il rapporto tra debito e Prodotto interno lordo è calato da 132 a 131,8%.
I richiami
Il debito pubblico italiano è, senza giri di parola, il vero e proprio nodo cruciale che rende precaria la situazione economica dell’Italia. Anche la ripresa, per quanto evidenziata dalle cifre, sembra essere stata ostacolata da questo fardello che non sembra conoscere crisi. Nonostante gli sforzi messi in campo a vario titolo e da varie istituzioni nel corso di questi anni il toro sbizzarrito del debito pubblico non è stato riportato nei ranghi. La conferma giunge anche dai primi mesi del 2018 che hanno confermato la crescita sfrenata di questo parametro. Per farsi un’idea: in media cresce di 4.469 euro in più ogni secondo. L’anno precedente la stessa media si attestava intorno ai 1.160 euro al secondo.
A nulla sono serviti i richiami della Banca d’Italia e di altri istituti sulla pericolosità di questa palla al piede mostruosa. Che costringe lo Stato a pagare interessi elevatissimi. Cifre che vengono così sottratte al bilancio e a una destinazione certamente più adeguata alle esigenze dei cittadini. Richiami messi in campo anche dall'Ufficio parlamentare di bilancio, di Confindustria e dalla Ue, con lo sesso esito. Fino ad oggi i provvedimenti presi per provare a fermare questa locomotiva impazzita si sono rivelati insufficienti. E l’instabilità politica dopo le elezioni del 4 marzo non aiuta di certo.