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Iraq, il kamikaze dell’Isis

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    Esplora il significato del termine: Iraq, il kamikaze dell’Isis che Londra risarcì con 1 milione di sterline
    Jamal Al Harith era stato rilasciato da Guantánamo grazie all’intervento di Tony Blair
    Polemiche anche per il risarcimento che potrebbe essere finito nelle casse del CaliffoIraq, il kamikaze dell’Isis che Londra risarcì con 1 milione di sterline
    Jamal Al Harith era stato rilasciato da Guantánamo grazie all’intervento di Tony Blair
    Polemiche anche per il risarcimento che potrebbe essere finito nelle casse del Califfo Era stato rilasciato dal carcere di Guantánamo grazie alle insistenze del governo di Tony Blair, e aveva ricevuto un milione di sterline come risarcimento. La scorsa settimana ha scelto di morire come kamikaze dell’Isis: si è fatto esplodere con una autobomba a Mosul in Iraq, la roccaforte dei jihadisti assediata dalle forze del governo di Bagdad. L’Isis ha pubblicato una sua foto, sorridente, prima del «martirio». La vicenda di Jamal Al-Harith, cinquantenne britannico convertito all’Islam (il suo nome all’anagrafe era Ronald Fiddler), sta provocando polemiche a Londra. «E’ una situazione scandalosa — ha detto il parlamentare Tory Tim Loughton — Quest’uomo era chiaramente un rischio per la sicurezza britannica. E per giunta gli è stato dato 1 milione di sterline per via del giudizio errato di Blair sulla sua innocenza».
    Fiddler, originario di Manchester, era stato uno sportivo da ragazzo: amava il football, il basket e aveva vinto un trofeo di karate. Poi si è convertito all’Islam. «Un giorno ha portato il Corano a casa, lo abbiamo appoggiato, non c’era niente di sbagliato allora, i problemi sono iniziati più tardi», ha raccontato al Times di Londra il fratello Leon Jameson. Nel 1992 era andato in Sudan con un noto simpatizzante di Al Qaeda, secondo i file dell’intelligence Usa. Per quattro anni aveva studiato arabo a Khartoum, ma poi era tornato in Gran Bretagna iniziando a studiare da infermiere, poi passando al web design e infine al lavoro di amministratore di una scuola musulmana a Manchester. Nel 2001 era andato nella città di Quetta in Pakistan per una presunta vacanza: qui fu arrestato dagli americani, in quanto sospettato di essere un collaboratore dei talebani, e fu rinchiuso nella prigione Usa di Guantanamo Bay, a Cuba. Lui diceva invece di aver tentato di fuggire in Iran dopo l’invasione Usa dell’Afghanistan e di essere stato incarcerato dai talebani perché accusato d’essere una spia.
    Nel 2004 era stato scarcerato e aveva argomentato con successo che il governo britannico era stato complice degli abusi nei suoi confronti, ottenendo 1 milione di sterline. Aveva anche tentato (inutilmente) di denunciare Donald Rumsfeld (allora segretario della Difesa Usa). Adesso la polemica riguarda anche le parole pronunciate quel giorno dal ministro dell’Interno britannico David Blunkett: «Nessuno di coloro che tornano... sarà una minaccia per la sicurezza della popolazione». Dieci anni dopo, nel 2014, Al-Harith è arrivato in Siria attraverso la Turchia, determinato ad unirsi allo Stato Islamico come hanno fatto in questi anni altri 850 cittadini britannici (la metà sarebbero ritornati in patria, mentre si stima che il 15% siano morti, incluso Mohammed Emwazi, il boia noto come Jihadi John). Ha preso il soprannome di Abu-Zakariya al-Britani. E’ possibile che anche i soldi consegnatigli dal governo britannico siano finiti nelle casse del Califfato. Era diventato famoso il caso di sua moglie, Shukee Begum, che si era recata in Siria con i cinque figli per tentare di convincere il marito a tornare, invano
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