Campo Dall'Orto punta a chiudere i piccoli canali Rai
Da RaiQuattro a Rai Storia. Fino al flop di Rai News. Il dg cerca di risparmiare. Tagliando le reti che hanno pochi ascolti e troppi costi. Razionalizzazione al via.
di Renato Stanco
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15 Ottobre 2015
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(© Imagoeconomica) Antonio Campo Dall'Orto, direttore generale della Rai.
Aspettando Godot, rischia di finire nelle sabbie mobili.
Se non ci è finito già. Con la licenza poetica del caso, la battuta che circola in Viale Mazzini, quando si parla dell’attuale direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, fotografa perfettamente la situazione.
Da quando si è insediato al settimo piano del palazzone della tivù pubblica, il manager imposto dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non ha mosso nemmeno una pedina sul variegato scacchiere della dirigenza.
E la cosa non piace affatto al partito Rai, abituato a frequentare le porte girevoli delle nomine più che le sedi dell’azienda.
ARRIVA IL COLPO ATTESO? Così direttori e dirigenti, consiglieri di amministrazione e referenti politici, hanno iniziato a chiedersi cosa vuol fare il nuovo dg.
Aspetta davvero l’approvazione del disegno di legge che trasforma il direttore generale in amministratore delegato oppure gioca d’anticipo battendo quel che colpo che tutti invocano?
Sarà pure un caso, ma nella Capitale è tutto un fiorire di convegni e dibattiti sul futuro della Rai, come avveniva nella Prima Repubblica.
AP VUOLE UN RITORNO AL PASSATO. L’ultimo è stato promosso da Area popolare (Ap) che ha in Paolo Messa, membro del cda, il suo punto di riferimento, il cui unico obiettivo e suggerire al dg cosa fare.
Gli alfaniani, per esempio, sognano una Rai che ritorni al passato, modello Ettore Bernabei, che rassicuri e non crei problemi al governo.
Ovviamente mantenendo la proprietà saldamente nelle mani dello Stato, avversando così l’idea di Renzi di privatizzarla o, almeno, di renderla meno dipendente dalle casse pubbliche.
Storia vecchia spacciata per attuale.
Il piano: razionalizzazione dei costi e meno canali
Rai Sport ha una redazione di 100 giornalisti.
E così, in attesa delle nomine che arriveranno dal vertice aziendale, iniziano a filtrare le prime indicazioni su cosa vuol fare il neo direttore generale.
TROPPE RETI INUTILI. Oltre a una drastica razionalizzazione dei costi aziendali, considerati troppo e alti e assolutamente fuori mercato visto il numero eccessivo di appalti esterni, Dall’Orto sarebbe intenzionato a ridurre il numero dei canali Rai, avendo capito che l’allargamento forsennato delle reti, dettato digitale terrestre, si è rivelato un fallimento di vaste proporzioni.
NEWSROOM RINVIATE. Poi vorrebbe rinviare la riforma dell’informazione con l’accorpamento delle testate giornalistiche.
Le famose Newsroom sarebbero solo un problema e non la soluzione, dato che andrebbero a intaccare il sacro totem del pluralismo.
DIREZIONI STRATEGICHE. E la cosa non piace a nessuno, visto che la direzione di un telegionale della Rai è strategica durante le campagne elettorali. Privarsene ora sarebbe pura follia.
Soprattutto ora che il premier mira a mettere la sordina ai talk show, dovendo affontare le elezioni amministrative nel 2016.
Ridurre ai minimi termini i telegiornali della Rai vorrebbe dire farsi del male inutilmente. Da qui la brusca frenata.
E poi c’è il tema dei canalini del digitale terrestre.
Flop di RaiQuattro e RaiCinque, disastro Rai News
(© Imago economica) La sede romana della Rai di Viale Mazzini.
Cifre alla mano, le reti tematiche della tivù pubblica (10 in tutto) portano a casa dati di ascolto pari ai valori delle analisi del sangue.
RaiQuattro, per esempio, nonostante la promozione sul tasto 4 del bouquet di Sky, si aggira attorno allo 0,77% nelle 24 ore e all’1,08% in seconda serata.
E non va meglio nemmeno con RaiCinque: lo share medio ruota sullo 0,25%.
Così come Rai Storia che porta a casa un modestissimo 0,19%.
REGGE LO SPORT. Reggono, ma è un dato parzialmente consolatorio, i canali sportivi: Rai Sport Uno naviga attorno alla boa dello 0,40%, mentre Rai Sport Due è alle spalle con lo 0,34%.
Vanno un po’ meglio Rai Movie con una media dell’1,03% che supera Rai Premium il cui dato di riferimento parte da uno share dello 0,95%.
OK RAI YOYO. Tra i canali per i bambini Rai YoYo risulta vincente con uno standard di ascolti stimato attorno all’1,35%, mentre Rai Gulp si conferma stabilmente sopra lo 0,53%.
Infine il disastro di Rai News che non si schioda dalla soglia dello 0,5%, quando va bene, nonostante gli investimenti fatti dalla passata gestione.
Tanto per avere un dato di riferimento sul fronte Mediaset, Iris è dato sopra l’1,34% che diventa 1,64% in prime time e 1,83% in seconda serata, seguito da Top Crime stabile all’1,09% (1,22% in seconda serata).
Piccole realtà che non interessano e producono solo costi inutili
(© Imagoeconomica) Il consiglio di amministrazione della Rai.
Insomma, numeri e dati sufficienti per aprire un’ampia e articolata riflessione, dato che Campo Dall’Orto ha come faro di riferimento la qualità del prodotto Rai e la tenuta dell’azienda.
I cosiddetti canalini della Rai non interessano a nessuno, venderli è difficile (anche se non impossibile) e producono solo costi inutili (direttori di rete, tecnici e messa in onda solo per citare le voci principali).
Quindi una razionalizzazione è più che necessaria, anche alla luce degli accordi con i nuovi erogatori di contenuti, da Netflix e Sky.
POCA PUBBLICITÀ. Del resto la stessa raccolta pubblicitaria non ha portato nessun risultato, dato che vendere gli spazi della Rai significa comunque parlare delle reti generaliste.
Meglio concentrarsi sul core business dell’azienda invece che percorrere inutili praterie.
E così il primo passo di Campo Dall’Orto potrebbe essere proprio questo, in attesa della legge che gli conferisce pieni poteri.
TRASPARENZA AL CENTRO. Norma che, a dire il vero, mira a imporre alla Rai anche il rispetto della direttiva sulla trasparenza, dato che due esponenti renziani del Pd hanno presentato un emendamento che chiede all’azienda di pubblicare sul sito i compensi e i curricula di dirigenti e direttori.
Magari in futuro anche i cachet milionari delle star. Sarebbe davvero un bel passo avanti, nel rispetto del cittadino utente. Perché sino a quando c’è il canone, i veri azionisti dell’azienda sono coloro che lo pagano, e non i partiti che vorrebbero tornare ad avere una Rai appiattita sui loro bisogni.