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    [Esplora il significato del termine: Gino Paoli, presidente SiaeMILANO - «La definizione è importante. Questa situazione è complicata perché ci sono troppi equivoci. Di sicuro non si tratta di una tassa sugli smartphone. E poi cosa vuol dire copia privata? Non l’ho capito. Qui si parla di compenso dell’autore». Gino Paoli, cantautore, 79 anni, è il presidente della Siae, la Società italiana degli autori ed editori, ed è determinato a mettere ordine sull’argomento, fronteggiando «la propaganda delle multinazionali». Riassumendo la questione, c’è in ballo la rideterminazione dei compensi per copia privata da parte del ministero dei Beni culturali - prevista come aggiornamento del Decreto del 30 dicembre 2009 - che i produttori di smartphone, tablet, e computer dovranno versare alla Siae, che a sua volta girerà agli autori. «Si tratta di un compenso - spiega Paoli - in cambio della possibilità di effettuare una copia personale di registrazioni, tutelate dal diritto d’autore. Questo compenso, però, non deve essere a carico di chi acquista lo smartphone ma del produttore, che riceve un beneficio dal poter contenere sul proprio supporto un prodotto autorale come una canzone o un film. È previsto anche in Francia e Germania». L’«equo compenso» è già presente e verrà aggiornato. Oggi paghiamo 0,90 euro per gli smartphone, niente per i tablet e 1,90 euro per i computer. In base a una tabella provvisoria (il ministero ha parlato della necessità di un supplemento di indagine), il compenso salirebbe a 5,20 euro per smartphone e tablet, 6 per i computer, più Iva. «Si tratta di fissare la tariffa - prosegue Paoli -. In Italia il prelievo è pari allo 0,12% contro il 5,12% della Germania. Eppure smartphone e tablet da noi costano in certi casi anche di più. La battaglia di Confindustria Digitale punta a proteggere le multinazionali, che spesso non pagano nemmeno tutte le tasse in Italia e che di certo non producono qui. Mentre la Siae rappresenta un milione e mezzo di lavoratori, che paga le tasse in questo Paese. Dobbiamo ricordarci che l’industria culturale vale il 5% del nostro Pil. Quello che chiediamo non è una tassa. Quando prendiamo un taxi paghiamo la corsa e lo consideriamo il compenso per il servizio ricevuto, non una tassa». Per Paoli è importante che si capisca l’«importanza della Siae»: «Sono stanco di sentirla definire un carrozzone. Sto cercando di cambiarla, ora è un palazzo di vetro. È un’istituzione importante, un presidio di libertà per gli autori». E su chi fa i conti dei possibili nuovi introiti per la Siae - tra i 160 e i 200 milioni in base alle stime di vendita per il 2014 di smart, tablet, pc e tv con presa Usb - Paoli taglia corto: «Il problema è mal posto. Noi stiamo rivedendo la tariffa. Il resto sono solo ipotesi. Potrebbero vendere di più, come di meno. Ma il punto è il diritto d’autore». ] Gino Paoli, presidente SiaeMILANO - «La definizione è importante. Questa situazione è complicata perché ci sono troppi equivoci. Di sicuro non si tratta di una tassa sugli smartphone. E poi cosa vuol dire copia privata? Non l’ho capito. Qui si parla di compenso dell’autore». Gino Paoli, cantautore, 79 anni, è il presidente della Siae, la Società italiana degli autori ed editori, ed è determinato a mettere ordine sull’argomento, fronteggiando «la propaganda delle multinazionali».

    Riassumendo la questione, c’è in ballo la rideterminazione dei compensi per copia privata da parte del ministero dei Beni culturali - prevista come aggiornamento del Decreto del 30 dicembre 2009 - che i produttori di smartphone, tablet, e computer dovranno versare alla Siae, che a sua volta girerà agli autori. «Si tratta di un compenso - spiega Paoli - in cambio della possibilità di effettuare una copia personale di registrazioni, tutelate dal diritto d’autore. Questo compenso, però, non deve essere a carico di chi acquista lo smartphone ma del produttore, che riceve un beneficio dal poter contenere sul proprio supporto un prodotto autorale come una canzone o un film. È previsto anche in Francia e Germania».

    L’«equo compenso» è già presente e verrà aggiornato. Oggi paghiamo 0,90 euro per gli smartphone, niente per i tablet e 1,90 euro per i computer. In base a una tabella provvisoria (il ministero ha parlato della necessità di un supplemento di indagine), il compenso salirebbe a 5,20 euro per smartphone e tablet, 6 per i computer, più Iva. «Si tratta di fissare la tariffa - prosegue Paoli -. In Italia il prelievo è pari allo 0,12% contro il 5,12% della Germania. Eppure smartphone e tablet da noi costano in certi casi anche di più. La battaglia di Confindustria Digitale punta a proteggere le multinazionali, che spesso non pagano nemmeno tutte le tasse in Italia e che di certo non producono qui. Mentre la Siae rappresenta un milione e mezzo di lavoratori, che paga le tasse in questo Paese. Dobbiamo ricordarci che l’industria culturale vale il 5% del nostro Pil. Quello che chiediamo non è una tassa. Quando prendiamo un taxi paghiamo la corsa e lo consideriamo il compenso per il servizio ricevuto, non una tassa».

    Per Paoli è importante che si capisca l’«importanza della Siae»: «Sono stanco di sentirla definire un carrozzone. Sto cercando di cambiarla, ora è un palazzo di vetro. È un’istituzione importante, un presidio di libertà per gli autori». E su chi fa i conti dei possibili nuovi introiti per la Siae - tra i 160 e i 200 milioni in base alle stime di vendita per il 2014 di smart, tablet, pc e tv con presa Usb - Paoli taglia corto: «Il problema è mal posto. Noi stiamo rivedendo la tariffa. Il resto sono solo ipotesi. Potrebbero vendere di più, come di meno. Ma il punto è il diritto d’autore».
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